Terremoto del Belice. Sono passati 50 anni


Dalla pagina FB di Genziana Project

“BELICE50*, LA CONDANNA DI UNA RICOSTRUZIONE SBAGLIATA”
Il terremoto uccide. Una ricostruzione sbagliata condanna a morte il futuro. È una doppia tragedia quella del Belice. Una tragedia che a 50 anni di distanza resta viva in tutta la sua gravità. Dalle 13.28 del 14 gennaio del 1968. Allora fu avvertita la prima scossa.

Poi ne arrivò una seconda e più tardi una terza. Tra spavento e agitazione tanta gente si riversò sulle strade e molti decisero di passare la notte all’aperto o in rifugi di fortuna. Fu per questo che sotto le case abbattute e sbriciolate si contarono “solo” 300 morti quando la terra tornò a tremare, e stavolta con una violenza devastante, alle 2.33 e alle 3.01 del 15 gennaio.

Le vittime, infatti, potevano essere di più di fronte alla spaventosa ondata di scosse che in pochi attimi cancellò interi paesi della Valle del Belice. Epicentro del terremoto l’area tra Gibellina, Poggioreale, Salaparuta e Montevago, ma le scosse furono avvertite fino a Palermo. Cinquant’anni fa il Belice subì una lacerazione profonda che ancora oggi non si è completamente rimarginata.

Le spaccature dei tessuti urbani dei paesi erano aggravate dal fatto che le case del Belice erano di tufo e di impasto con le canne. E per questo si polverizzarono quando le scosse si fecero più forti. Oltre centomila sfollati vagavano tra strutture di accoglienza precarie e molti vennero sopraffatti o da malattie respiratorie, che provocarono altre vittime, o dalla disperazione.

Una condizione che li spinse verso l’emigrazione da una terra che aveva già mandato molti giovani all’estero e nelle fabbriche del Nord. La prima risposta dello Stato fu quella di incoraggiare le partenze. Ai terremotati furono persino offerti biglietti ferroviari gratis e passaporti rilasciati a vista. Chi restava nelle baracche, invece, viveva in condizioni degradanti. Eppure negli anni i soldi non sono mancati. 

Ma i fondi senza idee efficaci di recupero non servono a nulla. Si calcola che da allora ai giorni nostri siano stati investiti poco meno di 13mila miliardi di vecchie lire e servono altri 300 milioni di euro circa per finanziare gli ultimi interventi. Pochi i progetti dei privati ancora giacenti negli uffici comunali, il resto riguarda opere di urbanizzazione. I ritardi sono in parte dovuti a quella che Danilo Dolci definì la “burocrazia che uccide il futuro” ma soprattutto alla discussa gestione dei piani di ricostruzione.

Interi paesi come Gibellina, Poggioreale e Salaparuta vennero ricostruiti in altri posti. Antiche culture vennero cancellate, il tessuto sociale fu radicalmente mutato, la vita civile di migliaia di persone venne sconvolta. Cambiò anche il paesaggio del Belice: da un lato le “new town” con le grandi piazze e le lunghe strade, dall’altro le tracce di ruderi che restano ancora in piedi negli antichi abitati.

Simbolico è il caso di Poggioreale: tutto l’assetto del paese è rimasto al suo posto e il tempo sembra essersi fermato nella città fantasma svuotata dagli abitanti. A Gibellina invece, su impulso di Ludovico Corrao, si è costruita una “città d’arte” con il Cretto di Burri, un sudario di calce bianca che ricopre le macerie del vecchio abitato, e un circuito di eventi e testimonianze che ruotano attorno alle Orestiadi.

Il segno distintivo della ricostruzione ritardata è dato in primo luogo dalla progettazione, più attenta alla sperimentazione che alla concretezza, e dallo spreco di risorse per opere imponenti ma inutili. Come l’Asse del Belice, una grande strada che attraversa la Valle e si ferma in aperta campagna. Questo vedrà, si spera, il presidente Sergio Mattarella domenica 14, giorno del ricordo e delle cerimonie. Troverà un territorio che prova a rimettersi in piedi. Nonostante luoghi per sempre privi di senso, circondati dalla trama di macerie che dopo cinquanta anni segna ancora quel territorio. 

*A 50 anni dal terremoto nella Valle del Belice, genziana project affronta un viaggio negli errori e negli orrori di una ricostruzione non ancora completata. Per non dimenticare, per non continuare a sbagliare. Nel nostro reportage il protagonista è il non luogo. Simbolo di sradicamento, confusione progettuale e ancora per lo sviluppo di tutta l’area.

Da “Agrigento Notizie”, 14 gennaio 2018

La donna scampata alla distruzione provocata dal sisma aveva 22 anni ed era madre di un piccino di 3 mesi. Le sue parole: “In mezzo alle macerie mi arrampicai fra i detriti e i massi per arrivare a prendere un piede della culla del mio bambino …”

Sorgente: Terremoto del Belice, la toccante testimonianza di una empedoclina: “Siamo stati miracolati”