Gli psicologi piemontesi in Abruzzo, 2009


LA PARTECIPAZIONE DEGLI PSICOLOGI AI SOCCORSI IN CASO DI CATASTROFI E L’ESPERIENZA DEGLI PSICOLOGI PIEMONTESI IN ABRUZZO

Campo di Barisciano, la psicologa Maria Teresa Fenoglio, presidente della Associazione Psicologi per i Popoli-Torino e vicepresidente nazionale, al telefono durante un’intervista

Dr.ssa Maria Teresa Fenoglio

(Articolo pubblicato sul Bollettino dell’Ordine Nazionale degli Psicologi )

Il terremoto in Abruzzo del 6 aprile 2009, che ha riguardato un’ampia area avente come epicentro l’Aquila, ha costituito il primo e più significativo banco di prova di quella specifica forma di soccorso alle popolazioni, denominata “aiuto psicosociale”, che ha visto gli psicologi italiani coinvolti in prima fila e dietro ufficiale mandato da parte del Dipartimento della Protezione Civile.

La presenza degli psicologi italiani nelle catastrofi è un dato relativamente recente. Il loro primo coinvolgimento si può far risalire all’appello lanciato alla categoria in occasione dei tragici eventi della guerra nell’ex Yugoslavia e dell’intervento italiano nella “Missione Arcobaleno” (1992)[1]. Da allora è stato prestato aiuto psicologico alle vittime nel corso dell’ accoglienza ai profughi Kosovari nelle regioni adriatiche (1997); in occasione del terremoto dell’ Umbria e delle Marche (1997); nel terremoto del Molise (area di S.Giuliano, 2002) e in diverse calamità “a effetto limitato”[2].

PRINCIPALI DISASTRI IN ITALIA E PRESENZA DEGLI PSICOLOGI

1951 ALLUVIONE POLESINE NO PSICOLOGI
1963 DISASTRO DEL VAJONT NO PSICOLOGI
1966 ALLUVIONE DI FIRENZE NO PSICOLOGI
1968 TERREMOTO DEL BELICE NO PSICOLOGI
1974 ATTACCO TERRORISTICO ALL’ITALICUS NO PSICOLOGI
1976 DISASTRO INDUSTRIALE A SEVESO NO PSICOLOGI
1976 TERREMOTO NEL FRIULI NO PSICOLOGI – A seguire: costituzione Protezione Civile Italiana (Zamberletti)
1980 ATTACCO TERRORISTICO ALLA STAZIONE DI BOLOGNA NO PSICOLOGI
1980 TERREMOTO IN IRPINIA NO PSICOLOGI
1985 CROLLO DIGA VAL DI STAVA NO PSICOLOGI
1994 ALLUVIONE IN PIEMONTE NO PSICOLOGI
1997 TERREMOTO UMBRIA E MARCHE PRESENZA PSICOLOGI
1998 DISASTRO IDROGEOLOGICO IN CAMPANIA, TRAGEDIA DI SARNO NO PSICOLOGI
1999 CROLLO DI UNA PALAZZINA A FOGGIA PRESENZA PSICOLOGI
2000 ALLUVIONE IN PIEMONTE e VALLE D’AOSTA PRESENZA PSICOLOGI
2001 ESPLOSIONE DI UN PALAZZO A ROMA IN VIA VENTOTENE PRESENZA PSICOLOG
2002 TERREMOTO IN MOLISE, TRAGEDIA DI S.GIULIANO PRESENZA PSICOLOGI
2005 DISASTRO FERROVIARIO DI CREVALCORE (BO) PRESENZA PSICOLOGI
2004 TSUNAMI (soccorso agli italiani scampati) PRESENZA PSICOLOGI
2006 DISASTRO AEREO ALL’AREOPORTO DI LINATE PRESENZA PSICOLOGI
2006 INCIDENTE METRO ROMA PRESENZA PSICOLOGI

Si è però dovuti arrivare al 2006 perché la presenza degli psicologi nelle catastrofi trovasse una collocazione specifica sia in quanto riconosciuto apporto professionale sia come componente all’interno degli organigrammi della Protezione Civile italiana. Attraverso lo storico documento “Criteri di massima sugli interventi psicosociali da attuare nelle catastrofi” (DPCM 13.6.2006) viene infatti normato il ruolo peculiare dello psicologo e se ne indicano sia la collocazione istituzionale (Funzione 2, Sanità, forze del volontariato organizzato e dipendenti del SSN) sia il ruolo professionale (aiuto psicosociale).

Il Documento della Presidenza del Consiglio recepisce linee guida ormai consolidate emanate sia dall’ Unione Europea che da numerosi Stati Membri. Tali indicazioni sono fondamentali perché rendono omogenei e compatibili in Europa il dettaglio ma anche la stessa filosofia di fondo dell’intervento psicologico nelle catastrofi, in coerenza con la volontà di allineare e integrare i criteri del soccorso, in vista della costituzione di una Task Force europea di Protezione Civile[3].

Dietro i “Criteri di Massima” che oggi guidano gli psicologi italiani ci sono perciò molti anni di riflessioni e di scambi dei professionisti europei che, grazie alle numerose esperienze sul campo[4] e a ricerche condotte in università ed Enti Pubblici e privati[5], su mandato dell’Unione europea si sono prima costituiti in “Psychosocial Working Group” e infine hanno dato vita a dettagliate e motivate linee guida europee[6].

Il terremoto in Abruzzo ha potuto quindi essere affrontato dagli psicologi italiani e quindi da quelli piemontesi con l’inevitabile tensione emotiva e organizzativa, ma non con l’incertezza dovuta a una indefinita collocazione organizzativa e all’assenza di linee guida teoriche e metodologiche[7]. Per ciò che riguarda il Piemonte, nelle ore immediatamente seguenti il sisma, nel corso della giornata del 6 aprile, sono stati allertati i due gruppi piemontesi di psicologi inseriti nella Protezione Civile[8]. In contemporanea, la presenza, all’interno dell’ Ordine, di una commissione di Psicologia dell’Emergenza, ha fatto sì che numerosi colleghi, animati dal desiderio di fornire il proprio apporto professionale, grazie alla collaborazione con Psicologi per i Popoli potessero essere in tempi brevi organizzati e messi a disposizione della Protezione Civile piemontese.

Quest’ultima, mobilitata direttamente dal Dipartimento a fronte di un “Evento catastrofico che travalica le potenzialita’ di risposta delle strutture locali”[9], è intervenuta in Abruzzo in via immediata. E’ stato così che il contingente dei colleghi della provincia di Cuneo, coordinati dalla collega Donatella Galliano, è “sceso” in Abruzzo fin dai primi momenti (Campo di Tempera), mentre quello della Provincia di Torino, guidato dalla sottoscritta, è partito con le due colonne mobili della Regione e della Provincia (Campo di Barisciano) e con quello del Comune di Torino (Campo di S.Giacomo).

Nei 6 mesi che vanno dall’aprile alla fine di settembre 2009 sono stati circa 70 gli psicologi piemontesi che si sono avvicendati in Abruzzo. Nelle righe che seguono cercherò di condensare questo intervento, il primo del genere in Piemonte, attraverso alcune categorie di analisi, che aiuteranno a ordinare un esperienza intensa e complessa.

Organizzare gli psicologi in una maxi emergenza

Se lo scenario della catastrofe è per sua natura caotico e frammentato, l’ organizzazione dei soccorsi risponde a criteri di ordine collaudato: nel metodo (il metodo Augustus[10]), nei tempi, nella definizione dei ruoli. La discesa sul campo di questo “esercito di pace”, anche se si affida a una imponente presenza del volontariato, è fortemente militarizzata. La presenza di ogni singola componente è normata, e il suo ingresso nello scenario è determinato di volta in volta da un Tavolo di coordinamento nazionale, in Abruzzo il DICOMAC. Gli psicologi, afferenti alla Funzione 2, Sanità, hanno potuto fin dai primi momenti far riferimento a una propria catena di comando[11]. Il Tavolo costituitosi all’Aquila ha perciò consentito agli psicologi italiani intervenuti, oltre che di coordinarsi e confrontarsi tra loro, di venir assegnati ai differenti Campi, in base alle esigenze.

Gli psicologi piemontesi, organizzati nel locale volontariato di Protezione Civile[12]e perciò scesi con le colonne mobili, oltre che il DICOMAC avevano a riferimento gerarchico la struttura organizzativa regionale: da un lato i “Capicampo”, vale a dire i funzionari di PC; dall’altro i Coordinatori delle forze del volontariato: due interfaccia diverse, con culture organizzative peculiari. Se i funzionari sono infatti professionisti, spesso formati come Disaster Manager, i Coordinatori sono volontari di lunga esperienza e consolidato prestigio, formidabili nella logistica: a tre giorni dal sisma i Campi di Tempera, Barisciano e S.Giacomo erano allestiti e la popolazione godeva di un tetto e un pasto caldo[13].

L’inquadramento degli psicologi nel volontariato è una delle condizioni indispensabili per poter essere presenti sullo scenario. Il secondo prerequisito ammesso è di essere inseriti nel Sistema Sanitario, vale a dire nelle ASL locali. Esse anzi dovrebbero assumere il coordinamento degli aiuti psicosociali in loco. L’interfaccia con questi colleghi, previsto e auspicato dalla normativa, è stato però nei primi sei mesi impossibile. Non solo la Regione Abruzzo non aveva previsto un referente locale per gli aiuti psicosociali (referente EPE)[14]; non solo gli psicologi delle ASL erano e sono comunque in numero assai ridotto, ma a loro volta si trovavano nella condizione di terremotati, coinvolti emotivamente nella tragedia e nei problemi logistici propri e del proprio Servizio. I soli psicologi operativi sono stati dunque, almeno nei primi mesi, forze del volontariato provenienti da altre regioni d’Italia.

La condizione dell’inquadramento nella PC non è affatto peregrina. Il prerequisito per poter intervenire in una emergenza è che il singolo non pesi a sua volta sulla struttura per quanto riguarda il trasporto, i pasti, l’alloggiamento. Esistono poi problemi non secondari di assicurazione, di attrezzature (la divisa regolamentare), di copertura spese. Gli psicologi abituati a lavorare dentro questo sistema e regolarmente inquadrati vestono perciò divise da tutti riconoscibili, che li distinguono ad esempio dalle vittime stesse, oltre che dagli inevitabili intrusi. Nel generale caos, fisico e psichico che possiamo immaginare, la divisa e l’appartenenza a un nucleo riconosciuto comunica sicurezza alle vittime e in qualche modo protegge anche i soccorritori, compresi gli psicologi. Tale equipaggiamento ha anche una funzione preventiva dei rischi: i soccorritori devono obbligatoriamente portare il casco protettivo, le scarpe antinfortunistiche, ecc. I dispositivi logistici hanno una importante funzione psicologica: essi ti ricordano che l’autoprotezione è essenziale, e che chi presta aiuto deve poter stare bene ed essere protetto a sua volta. Gli psicologi dell’emergenza devono essere a conoscenza dei rischi evolutivi e saperli prevenire (sanitari, legali, ecc.), per sè e per le persone di cui si sta occupando.

I soccorritori presenti sugli scenari, perciò anche gli psicologi, hanno l’obbligo di essere assicurati. Una propria assicurazione non è sufficiente in casi come questi, ma occorre quella prevista (e pagata) dalle Regioni e dallo Stato per dipendenti e volontari nelle emergenze.

Essere parte del sistema consente inoltre ai colleghi di godere dei cosiddetti “benefici di legge”, cioè del distacco dal servizio in caso di dipendenti pubblici e del rimborso del mancato guadagno se liberi professionisti. Questo, oltre a garantire una maggiore continuità di presenza, qualifica il nostro ruolo.

L’inquadramento non è tuttavia l’unico presupposto necessario. Da un punto di vista organizzativo, l’intervento in emergenza è una questione di sistema e di gruppi: il sistema è formato dalle organizzazioni, dai ruoli, dalla catena di comando; i gruppi che si interfacciano possono essere trasversali, in base all’età, al genere, alle esperienze, alla provenienza regionale. Questo meccanismo dotato di efficienza è in realtà un campo molto complesso. In una condizione a forte contagio psichico[15] il gruppo di appartenenza diventa il primo strumento di autoprotezione e di intervento professionale.

Per garantire un buon funzionamento di gruppo e un setting adeguato, gli psicologi piemontesi si sono dati un metodo di lavoro che ha previsto incontri di gruppo sia in loco che in “patria”: un incontro quotidiano in Abruzzo (oltre quello settimanale al DICOMAC), di scambio e programmazione, e un incontro settimanale a Cuneo e a Torino tra chi partiva e chi ritornava, per confrontare esperienze, emozioni, buone prassi, criticità. Oltre a questo, i colleghi responsabili e quelli con esperienze specifiche, ad esempio con i bambini e gli adolescenti, costituivano una rete permanente di consulenti sempre contattabili per telefono. Gli incontri erano inoltre la sola occasione per psicologi che non avevano lavorato insieme in precedenza di integrarsi con un gruppo pre-esistente, e insieme condividere le linee guida fondamentali pianificando gli interventi in itinere. Se a Torino e a Cuneo esisteva un gruppo di volontari PXP da tempo formato e con una certa familiarità con le situazioni di emergenza (PXP Torino, ad esempio, è da tempo impegnato in un servizio settimanale nel 118)[16], numerosi sono stati i colleghi che si sono uniti al nucleo “storico” per quella occasione. L’obiettivo che è parso più realistico è stato perciò di fare in modo che ciascun collega desse il meglio di sé a partire dalle proprie competenze acquisite. Evitare eventuali interventi estemporanei in base a specializzazioni troppo settoriali è stato possibile grazie al buon senso individuale, ma più spesso in virtù di un monitoraggio da parte del gruppo stesso. Dare il meglio di sé, invece, è stato favorito dal buon clima interno, dall’accoglienza che i colleghi sapevano esprimere, dalla tolleranza dell’errore proprio e altrui, e non ultimo dalla constatazione di essere effettivamente utili.

Non meno cruciali sono risultate le relazioni inter-gruppo. Le due colleghe cooordinatrici (Galliano e Fenoglio), dopo una total immersion iniziale, si sono dedicate al ruolo di coordinamento, svolgendo una funzione di interfaccia con i responsabili delle altre associazioni presenti, con i decisori locali, con le autorità piemontesi e quelle nazionali. Per la prima volta inseriti nel sistema, gli psicologi si trovavano impegnati sia sul fronte dell’ aiuto alle persone che su quello della visibilità/comunicazione del proprio impegno all’intero organigramma. Pur se prevista per legge, la presenza degli psicologi doveva comunque venir metabolizzata dal sistema e utilizzata come risorsa, operazione che mostrava andamenti altalenanti che andavano dall’ottima integrazione (dimostrata ad esempio dalla richiesta di sostegno da parte dei volontari addetti agli interventi sociali) alle discussioni a volte conflittuali (ad esempio sulla necessità di un maggior coinvolgimento degli abitanti). Sul piano dell’integrazione con le altre forze in campo, gli psicologi hanno in Abruzzo fatto passi da gigante, ma il cammino appare solo agli inizi.

Obiettivi e metodi dell’intervento psicosociale

Come si è visto, in Italia e in Europa[17] possiamo contare su linee guida consolidate per l’intervento psicosociale. Esse sono universalmente adottate e costituiscono il riferimento di Organizzazioni come la Croce Rossa[18]. Tale unanime consenso, che poggia su basi scientifiche e su prassi oggetto di specifiche riflessioni, consente agli psicologi dell’emergenza di dedicare le proprie energie a “calare” le linee guida nelle diverse realtà dei contesti incontrati, eventualmente confrontandole con i presupposti teorici della propria preparazione, e a individuare elementi di criticità e buone prassi in modo da far avanzare le proprie competenze e quelle della categoria.

A sostegno ulteriore delle linee guida europee, nel 2007 le Nazioni Unite[19] hanno a loro volta recepito e diffuso i principi informatori dell’intervento psicosociale, per cui si può affermare che gli psicologi dell’emergenza non hanno motivo per sentirsi allo sbaraglio, almeno sul piano di un quadro generale di riferimento.

Per le “IASC Guidelines”, gli psicologi hanno

  • Una funzione di salvaguardia della salute psichica e di promozione del benessere psicosociale per i cittadini sopravissuti alle catastrofi.
  • Una funzione di sostegno psicologico ai soccorritori, esposti a rischio di stress e traumatizzazione vicaria
  • Una funzione di collaborazione nei processi decisionali e negli ambiti gestionali dell’organizzazione, della comunicazione e della formazione in emergenza

Sulla base delle dettagliate schede di assessment finale fornite dalle IASC, la Federazione Psicologi per i Popoli ha recentemente sistematizzato gli interventi operati nei diversi Campi in cui è stata presente in Abruzzo[20]. La relazione finale[21] mette in evidenza i seguenti settori:

  1. Attività psicologica diretta alle persone, ai familiari, alla comunità:
  • Triage psicologico (con scheda) nel Posto Medico Avanzato
  • Primo Aiuto Psicologico (contatto e aggancio, sicurezza e conforto, stabilizzazione emotiva, raccolta informazioni, assistenza pratica, collegamento alla rete di supporto sociale, informazione sulle strategie di coping, collaborazione con altri servizi)
  • Assistenza psicologica ai familiari nel riconoscimento delle salme
  • Cura della comunicazione di cattive notizie
  • Colloqui di sostegno psicologico individuali e familiari
  • Intervento psicologico di gruppo
  • Interventi di sostegno agli operatori locali (insegnanti, assistenti agli anziani, educatori)
  1. Attività psicologica integrata alle altre attività di soccorso per prevenire il disagio mentale e garantire il benessere psicosociale
  • Rilevazione e valutazione dei bisogni psicologici e sociali nelle tendopoli
  • Promozione di soluzioni organizzative e gestionali favorevoli al mantenimento della salute psichica nelle tendopoli (tramite particolari attenzioni igieniche, alimentari, ambientali ecc.)
  • Promozione e supporto a specifiche iniziative di carattere culturale, religioso, educativo, ludico e di tempo libero orientate alla ripresa della quotidianità perduta o interrotta
  • Collaborazione con i Capi Campo in momenti di incontro con gli ospiti delle tendopoli per comunicazioni e discussioni su argomenti legati alla convivenza nel campo, alle iniziative da intraprendere per particolari disagi comunitari, agli spostamenti, alla chiusura della struttura ecc.
  • Collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia nella promozione, organizzazione e attivazioni di incontri con la popolazione sui temi (sensibili anche da un punto di vista psicologico) del terremoto
  1. Attività psicologica di sostegno ai soccorritori
  • Debriefing psicologico alle squadre di soccorritori di prima linea
  • Interventi di stabilizzazione emotiva
  • Colloqui individuali di valutazione e sostegno
  • Promozione di iniziative per la prevenzione e gestione dello stress
  1. Attività psicologica di consulenza ai livelli direzionali
  • Collaborazione nella valutazione e monitoraggio dello stress e della conflittualità nelle tendopoli o tra i soccorritori
  • Collaborazione per migliorare il clima comunicativo e relazionale
  • Collaborazione nella gestione degli incontri di settore al DiComaC per la funzione psicosociale

Gli psicologi piemontesi si riconoscono in tutte le azioni sopracitate. Ricordiamo tuttavia il lavoro svolto dai colleghi cuneesi nel sostegno alle famiglie al momento del riconoscimento delle salme e dei funerali di Stato. L’impegno sul fronte dell’intervento con i bambini, gli adolescenti e le famiglie; il continuo supporto ad altri volontari, come gli operatori della Struttura Protetta dell’Infanzia (struttura ANPAS) e gli educatori comunali a Barisciano, e dei volontari della Caritas a S.Giacomo. Gli interventi diretti a rafforzare la resilienza della comunità attraverso cambiamenti di gestione semplici ma significativi, quali il coinvolgimento degli abitanti nella mensa, l’allestimento di centri di incontro e di informazione, la creazione della “piazza”, le azioni dirette a fornire gli abitanti di nuovi occhiali, persi nel terremoto, o le signore delle tendepoli della lana per riprendere il lavoro ai ferri. Citiamo inoltre il supporto agli insegnanti al momento della riapertura delle scuole; il sostegno alle OS nel loro lavoro con gli anziani; l’aiuto agli operatori dell’Ente Parco Piemonte nel progetto di educazione ambientale; il supporto ai sindaci, fisicamente piegati da notti insonni e dalle continue richieste; la consulenza alle forze dell’Ordine nei casi di violazioni da parte dei minori; l’aiuto ai Capicampo, che avevano in carico il funzionamento e le problematiche dell’intero Campo; la mediazione dei conflitti tra volontari. Senza contare gli interventi nelle urgenze psichiatriche, in collaborazione con i medici del 118, e nelle crisi psicologiche acute.

Il paradigma “Psychosocial”

L’intervento psicosociale[22] si fonda sull’assunto che l’aiuto deve essere diretto a rafforzare le capacità di reazione spontanea delle vittime (resilienza[23]) e deve mirare a promuovere l’autonomia e l’autodeterminazione. L’ottica da assumere è perciò quella sistemica, ed ha al suo centro il rafforzamento delle reti sociali e l’empowerment. Come scrivono i capofila di questa impostazione, gli psicologi croati della SPA, in prima fila nell’accoglienza ai profughi durante la guerra dell’ex Yugoslavia, l’aiuto psicosociale “vuol dire cercare di aiutare e assistere le persone a diversi livelli della loro vita simultaneamente. Questo in pratica può significare: aiutare i bambini a fare i compiti perché i loro genitori sono troppo traumatizzati per farlo, organizzare gruppi di adolescenti, di donne, di madri sole, ecc. al solo scopo di fornire un sostituto alle reti sociali perdute, fornire una psicoterpia individuale ed esclusiva, fare counseling a genitori che non trovano altro modo di sfogare il loro dolore che attraverso la violenza verso i figli[24]

Questi stessi colleghi hanno infine felicemente riassunto l’azione psicosociale intrapresa con i profughi che a centinaia di migliaia affluivano in Croazia e in Slovenia ai tempi della guerra adottando il seguente schema piramidale:

La “Piramide degli interventi psicosociali nella comunità”, come si può osservare, esprime un lavoro interdisciplinare diretto a fornire prima di tutto supporto alla ricostituzione delle strutture sociali; quindi a fare informazione e “networking”; infine a svolgere lavoro psicologico sui gruppi e i singoli; infine a trattare il trauma quando ve ne sia necessità.

Se vogliamo riassumere, con le parole della Protezione Civile/Sanità pubblica belga, la filosofia di fondo dell’ottica “psychosocial” possiamo dire che essa è:

  • Proattiva
  • Preventiva
  • Multidisciplinare
  • Continua
  • Collettiva
  • Basata sulle risorse locali[25]

L’aiuto psicologico in emergenza non si affida necessariamente al tramite dell’incontro psicoterapeutico e all’uso della parola, ma a provvedimenti, iniziative e gesti che assumono un valore terapeutico[26]. Una particolare attenzione viene posta dagli studiosi europei sui possibili effetti iatrogeni di una focalizzazione sull’idea del trauma e della traumatizzazione. Il costrutto di trauma, infatti, pur consentendo di riconoscere gli effetti di eventi sconvolgenti sulle persone che li hanno vissuti, può da una parte essere eccessivamente enfatizzato (gran parte delle vittime si riprende spontaneamente)[27], distogliendo l’attenzione su ciò che può naturalmente rafforzare le capacità di ripresa, dall’altro indurre una visione decontestualizzata della condizione di salute. L’intervento psicosociale fa invece affidamento sull’ assunto che “la sofferenza non è una malattia”[28], e sul ruolo dello psicologo nel favorire un positivo decorso del lutto. L’elaborazione delle perdite, siano queste affettive o materiali (una casa, un paese amato…), è universalmente affrontato dalle popolazioni colpite attraverso l’attivazione delle reti comunitarie, ritualità consolidate e il sistema di credenze condivise. La familiarità dello psicologo con alcuni dei paradigmi dell’antropologia e allo stesso tempo la collaudata sensibilità a individuare ciò che costituisce un normale o patologico decorso del lutto è indispensabile per poter essere di aiuto in questi casi.

In Abruzzo, il quotidiano giro nelle tende, gli scambi informali con gli abitanti, le segnalazioni da parte di altri volontari hanno offerto molteplici possibilità di ascolto, conforto, ma anche di raccolta di indizi sulle condizioni emotive delle persone. I fenomeni depressivi, segnalati ad esempio dal chiudersi nelle tende; i rischi di sbocchi maniacali, favoriti da un’idea di aiuto fondato sulla perenne “festa” e “animazione” degli abitanti con ogni tipo di intrattenimento; la diffusione di dicerie, quale quella che la terra terremotata non potesse essere coltivata, quella primavera, a causa delle esalazioni venefiche; gli evitamenti e gli spostamenti di una aggressività latente, ad esempio con la creazione di capri espiatori; la diffusione dei risentimenti, sia tra gli abitanti che tra i soccorritori, legata spesso a una saturazione dei bisogni attraverso un dare unidirezionale: questi e altri sono fenomeni che la sensibilità professionale dello psicologo è in grado di intercettare, suggerendo delle contromisure[29]. Intervenire perché i bambini riprendessero al più presto un ritmo di vita il più vicino possibile all’abituale, relegando la massa ingestibile di dolciumi e giocattoli in apposito container, è stato ad esempio di grande aiuto per rasserenare e ridare stabilità ai bambini stessi e alle famiglie. Così come l’invito a rendere gli abitanti protagonisti diretti della gestione del campo ha contribuito ad allentare tensioni e rimediato a condizioni di depressione.

Queste competenze cliniche di base devono accompagnarsi alla chiara nozione di quali siano in ogni situazione di emergenza i bisogni più sentiti dalle vittime: tra le più importanti, ricevere una corretta e continua informazione, ad esempio, e questo in un sistema in cui la comunicazione è quasi sempre affidata a qualche laconico foglietto appeso su un palo della luce[30]; o essere consultati, all’interno di un meccanismo che si muove su schemi preordinati.

La Protezione Civile italiana, pur possedendo una notevole competenza logistica, non ha al momento una consolidata “vision” sull’ aiuto umanitario nelle maxiemergenze nazionali e piena consapevolezza di come a diversi modelli possano corrispondere esiti assai differenti. Una visita da me effettuata nel campo tenuto dalla provincia autonoma di Bolzano mi ha dato modo di confrontarmi con una situazione di nicchia in cui gli aiuti seguivano un modello improntato all’obiettivo della autonomizzazione. In quel caso, fin dal primo arrivo dei volontari si era provveduto a sollecitare la costituzione di un gruppo di volontariato locale, costituito anche da una schiera di adolescenti del paese, che aveva contribuito in prima persona all’allestimento della tendopoli e alla costruzione di un campo sportivo. Gradatamente i “forestieri” di Bolzano ritiravano la loro presenza in Abruzzo, sostituiti dalla popolazione locale che assumeva la gestione del Campo. Il modello seguito dalla Provincia di Bolzano ha tuttavia radici austriache, non italiane.

Nelle regioni di cultura italiana, invece, l’assenza, per il momento, degli psicologi al Tavolo di coordinamento generale degli aiuti impedisce che questi possano assumere fin dai primi momenti una valenza di tipo terapeutico. Fatte le debite eccezioni, la Protezione Civile, in quanto organizzazione, sembra avere al momento due modelli fondamentali di riferimento: quello dell’esercito, legato a una impostazione, oltre che fortemente gerarchizzata, procedurale, “muscolare” e tendenzialmente saturante dell’aiuto; e quello medico, che concepisce il sostegno psicologico come aiuto a posteriori di un disagio (un “trauma”) conclamato. Ancora molta è la strada da percorrere, ma certamente i futuri eventi non possono che essere favorevolmente influenzati da una categoria disposta a trarre forza e chiarezza da paradigmi psicosociali, quali quello dell’empowerment e della resilienza, e da paradigmi clinici, quali quelli dell’attaccamento e del lutto, saldamente psicologici e ormai ampiamente riconosciuti.

Al di là tuttavia della chiarezza delle linee guida, il fronte dell’intervento psicologico in emergenza resta ancora in parte da esplorare. Se infatti risultano più famigliari agli psicologi gli interventi professionali con le famiglie, le diverse fasce di età, i bambini e gli anziani, in quanto fanno parte di una esperienza professionale maturata nel lavoro nelle ASL e in quello sul territorio, i colleghi sembrano generalmente meno attrezzati a confrontarsi con i contesti organizzativi, con i problemi legati alla gestione dei rapporti intergruppo e della leadership, ma soprattutto un po’ sguarniti nel confronto con soggetti appartenenti a culture organizzative molto distanti. Il contesto dell’emergenza inoltre evidenzia con particolare forza il ruolo cruciale di un buon livello di integrazione tra doti personali e preparazione professionale, e risulta nodale il grado di tolleranza da parte degli psicologi delle eventuali frustrazioni legate al confronto con le attitudini relazionali di soccorritori magari privi di “titolo”, ma non per questo meno apprezzati ed efficaci. Non così facile inoltre sembra essere per gli psicologi il trasferimento della propria sensibilità clinica verso le dinamiche intrapsichiche, per esempio quelle transferali e controtransferali, conosciute in un setting tradizionale o nelle comunità terapeutiche, a contesti più allargati popolati da persone normali coinvolte in eventi eccezionali, nei quali tuttavia si scatenano reazioni analoghe.

L’esperienza in Abruzzo ci segnala che l’ intervento psicologico in emergenza ha bisogno di professionisti decisamente “prosociali”, dotati di un solido training nella “danza classica” del lavoro clinico, specie se svolto nell’ambito dei servizi pubblici, ma apertisi alla “danza moderna” dei grandi contesti, in cui il setting di lavoro, proprio perché fluido e mutevole, richiede una capacità di “tenuta” speciale e una sicura competenza nel tollerare le condizioni di complessità e incertezza[31].

Qualche bilancio

Il lavoro psicosociale in fase acuta svolto in un contesto di volontariato presenta ovviamente limiti dei quali occorre essere pienamente consapevoli. Il primo è quello della turnazione degli operatori, che nel nostro caso si sono fermati in Abruzzo da un minimo di sette giorni a un massimo di 15, turni in alcuni casi ripetuti per due volte. Data l’impossibilità di una presa in carico della popolazione nelle fasi successive all’emergenza, l’azione viene orientata da una parte a fornire i mezzi della prima sussistenza (tende e cibo), dall’altra, per quanto riguarda gli psicologi, ad operare con i criteri già indicati, senza che si miri a stabilire una relazione terapeutica vera e propria né con i singoli né con i gruppi. In teoria la presa in carico dovrebbe essere assunta dai servizi territoriali, ma come si sa l’Abruzzo non è mai stato a questo proposito fornito meglio di qualsiasi altra regione italiana. Il sostegno successivo alla popolazione è stato perciò affidato a grandi organizzazioni umanitarie, ad esempio la Caritas, che in qualche caso fornisce anche aiuto psicologico, e singole iniziative sono state affidate alla neuropsichiatria abruzzese. In sostanza, se il principio della necessità dell’aiuto psicologico in emergenza ha ricevuto un pieno riconoscimento, il lavoro di presa in carico dei singoli e delle comunità sul lungo periodo non rientra ancora nei piani nazionali. Ciononostante, l’intenso lavoro svolto in fase acuta ha costituito per la maggior parte degli abruzzesi delle zone terremotate una esperienza del tutto nuova, che ha risposto a bisogni fortemente sentiti, come da più parti ci è stato segnalato. Certo sarebbe auspicabile un lavoro di ricerca mirato ad ottenere un feedback sul nostro operato, ma anche questo sembra non rientrare nei piani di investimento pubblici. Possiamo perciò solamente fare riferimento ai numerosi attestati di riconoscimento dell’utilità del nostro lavoro, sia da parte della popolazione che dei volontari, uniti a qualche critica che per ora si limita alla scarsa possibilità di poter godere più a lungo dell’aiuto dello psicologo.

Una piccola pubblicazione, non di tipo scientifico, ma diretta a “restituire” alla gente d’Abruzzo qualcosa dei pensieri e delle emozioni intrecciate insieme, è in questi giorni in corso di stampa presso il Centro Servizi per il Volontariato Idea Solidale[32]

[1] M.T Fenoglio (2002) Psicologi di frontiera, la storia e le storie della Psicologia dell’emergenza in Italia, ed. Psicologi per i Popoli, Trento

[2] Questi interventi coprono l’intero ventaglio delle tipologie di emergenza. Prima dei “Criteri di massima” della fine del 2006, che hanno stabilito e regolamentato l’intervento psicosociale in emergenza, gruppi di psicologi sono comunque intervenuti nei disastri, ad esempio nell’ alluvione della Valle D’Aosta (2000), il crollo della palazzina di via Ventotene a Roma (2001) il crash aereo di Linate (2001), il disastro ferroviario di Crevalcore (2005) e in altre occasioni.

[3] Su delibera del 2001 l’Unione Europea, allo scopo di costituire una Task Force europea di Protezione Civile che garantisca la mutua assistenza in caso di catastrofi (il Community Mechanism for Cooperation in Civil Protection), ha organizzato specifici corsi di formazione per il personale europeo, sia a livello base (Induction Course) che diretti ai ruoli dirigenti (Operational Mangement e High Level Coordination Course). Chi scrive ha frequentato i primi due livelli, con il ruolo di “Psychosocial Expert”, in rappresentanza della PC italiana, settore volontariato.

[4] Tra le più significative esperienze che hanno previsto, in Europa, l’intervento psicosociale si annoverano diverse catastrofi sia naturali che di origine umana. Riguardo a queste ultime fondamentali insegnamenti sono derivati dall’aiuto prestato alle vittime della guerra nell’ex Yugoslavia e dall’accoglienza dei rifugiati nei rispettivi paesi (in particolare Austria, Olanda e paesi scandinavi, a partire dal 1992). Inoltre ricordiamo: l’incidente nel tunnel presso Kaprun in Austria (2000); gli attentati nelle metropolitane di Parigi (1986, 1995e ’96) e Londra (2005) e l’attacco terroristico alla stazione di Madrid (2004). Tra le catastrofi naturali, squadre di psicologi e operatori psicosociali sono intervenute in occasione delle numerose alluvioni nel Centro Europa e nel sud della Francia (2002).

[5] vedi ad esempio gli studi condotti dall’ Università di Vienna e di Sheffield, UK, o promossi da alcuni Ministeri della Salute, come quelli del Belgio e della Norvegia, o dalla Protezione Civile in prima persona, come nel caso di Francia, Danimarca e Svezia.

[6] Vedi Ministry of Public Health (a cura di ) Psycho-Social Support in situations of mass emergency. A European Policy Paper concerning different aspects of psychological support and social accompaniment for people involved in major accidents and disasters (2001), Brussels, Belgium,

[7] La presenza e i protocolli di intervento degli psicologi italiani erano stati del resto testati in un certo numero di esercitazioni, sia a cura del Dipartimento di Protezione Civile che degli stessi psicologi dell’emergenza. Tra i primi un ruolo determinante, anche a fronte del rilievo internazionale, ha avuto l’esercitazione di Catania del 12-16 ottobre 2005, organizzata dal Dipartimento, nel quale è stato per la prima volta utilizzata la scheda di triage psicologico. Gli psicologi dell’emergenza tuttavia, si sono dati propri momenti di esercitazione, in particolare i Campi Scuola degli psicologi dell’emergenza, organizzati da Psicologi per i Popoli Trentino annualmente a partire dal settembre del 2006, che hanno visto un ampio afflusso di professionisti (più di trecento ad ogni edizione).

[8] Si tratta delle Associazioni di volontariato Psicologi per i Popoli-Torino e Psicologi per i Popoli-Cuneo

[9] Come indicato nei “Criteri di massima”

[10] E’ denominato Metodo Augustus il sistema di pianificazione degli interventi di emergenza così come stabilito dalla Protezione Civile Italiana. Il sistema prevede la ripartizione delle forze in campo in 14 funzioni. La Funzione 2, Sanità, è quella in cui l’intervento psicosociale è inquadrato.

[11] Il coordinamento degli psicologi, a livello nazionale, è stato curato dalla dr.ssa Giulia Marino, una psicologa

[12] Lo stesso dicasi per tutti i diversi gruppi provinciali o regionali di psicologi di PC. Psicologi per i Popoli-Federazione non è l’unica associazione di psicologi attiva nel campo delle emergenze, ma la sola a far parte del sistema nazionale di PC. Costituita nel 2003, essa rappresenta 22 associazioni, giuridicamente autonome a livello regionale e/o provinciale, che coprono 14 regioni italiane. PXP ha inviato in Abruzzo più di 300 psicologi. Oltre a questo contingente, altri gruppi erano presenti: la SIPEM, ad esempio, il P.E.A., o colleghi “sparsi” entrati per l’occasione a far parte di Associazioni di volontariato come l’Ordine di Malta o l’ANPAS o attivi tramite singole convenzioni (ad es. con alcuni Comuni della costa adriatica). Oltre a questi erano presenti anche alcuni colleghi all’interno dell’Esercito e della CRI.

[13] Il Campo della Regione Piemonte a Barisciano distribuiva 1.500 pasti al giorno; quello del Comune di Torino a S.Giacomo…e quello di Tempera (Cuneo)….

[14] Non è solo il caso della Regione Abruzzo. Al momento nessuna regione italiana si è data questo strumento

  1. [15] Complessità, Sovraesposizione, Proiezione sono le tre dimensioni presenti in emergenza nelle quali si intrecciano fattori di natura psichica (contesto e dinamiche psichici) e altri di natura sociale (meccanismi psico-sociali) (Ranzato L. Brivio P. (2002) Vite spezzate: case per la vita, in «Ricostruire il Domani, Caritas Italiana, Roma)

[16] Iniziative formative sono state organizzate, almeno annualmente, da PXP Cuneo e Torino fin dalla loro costituzione nel 2001 (Torino)

[17] Psychosocial Intervention in Complex Emergencies: A Framework for Practice, The Psychosocial Working Group,

Centre for International Health Studies , Queen Margaret University College, Edinburgh; Consiglio d’Europa, European and Mediterranean Major Hazards Agreement (EUR-OPA), Psychosocial Support and services To Disaster Victims, Draft Raccomandation, Strasbourg 2007

[18]International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies (2001), Psychological support: best practices from Red Cross and Red Crescent programmes; , IFRC (2001) Managing stress in the field,

[19] Interagency Standing Committee (2007) IASC Guidelines on Mental Health and Psychological Support in Emergency Settings

[20] Tempera, Barisciano, S.Giacomo, Paganica, Onna, S.Panfilo D’Ocre, S.Elia, Ponticchio, Aquila Piazza D’Armi, Montereale, Pizzoli, e altre località ancora.

[21] Psicologi per i Popoli Federazione, relazione sull’intervento psicosociale in Abruzzo (inedito)

[22] “Con il termine “sostegno psicosociale” si intendono gli interventi tesi a rafforzare la capacità di reazione degli individui e delle comunità e ad aiutare i soggetti a far fronte e adattarsi alle circostanze mutate a causa del disastro o della sopravvenuta emergenza” (Dal Glossario della Croce Rossa Internazionale)

[23] “Social resilience is the capacity of a community to cope with disturbances or changes and to maintain adaptive behaviour. Social resilience has economic, political, spatial, institutional and social dimensions”

(Adger 2000)

[24] Lidija Arambasic (edited by) Psychological Crysis Intervention, Society for Psychological Assistance, Zagreb 2001, P.38

[25] Dr. BOULANGER, S. & SERNICLAES, S.(2004) “Support Psychosocial des Victimes d’Urgences

Collectives En Belgique: Etat de La Question et Bilan, Dossier: Gestion Psychosociale des Catastrophes”, Journal International De Victimologie, Tome 3, numéro 1

[26] Vedi il concetto di “azioni parlanti di P.Récamier (1986) (con S.Taccani, Il lavoro incerto, ovvero la psicodinamica del processo di crisi, Edizioni del Cerro, Tirrenia) e quello di “Basic Therapeutic Actions” di F.Sbattella (F Sbattella M. Tettamanzi e F. Iacchetti “Basic therapeutic actions. Un modello di

intervento psicosociale per le vittime dello Tsunami” in Nuove tendenze della psicologia, Vol. 3 N.4, dicembre 2005)

[27] Summerfield, D. (1999). “A critique of seven assumptions behind psychological trauma programs in war-affected areas”. Social Science and Medicine, 48, Summerfield, D. (2001). “The intervention of post-traumatic stress disorder and the social usefulness of a psychiatric category”. British Medical Journal, 322

[28] Vedi Comunicazione di Luigi Ranzato, all’ Atelier Européen sur le Suivi Psychosocial des Victimes et des Familles de Victimes en cas d’accidents majeurs,1-3 Avril 2003, Carcassonne (France)

[29] Per una analisi dettagliati dei fenomeni comunitari nelle catastrofi vedi il Manuale della Protezione Civile australiana EMA (Emergency Management Australia), www.ema.gov.au, 1998, e il Manuale The Community Crisis Response Team a cura di NOVA (National Organisation for Victims Assistanc, USA), 1994. Vedi anche Fenoglio M.T (2007)., La comunità nei disastri, una prospettiva psicosociale.

[30] Secondo una classifica stilata da un numero considerevole di vittime consultate per una ricerca, i bisogni più sentiti sono nell’ordine: essere messi in sicurezza, esprimere i propri sentimenti ed essere presi sul serio, ricevere conforto emotivo, venire continuamente informati, venire correttamente informati, veder rispettata la privacy, ristabilire o rimanere in contatto con i propri cari, mantenere la propria autonomia, essere consultati, svolgere rituali coerenti con la propria cultura. (Ministry of Public Health (2001), Psycho-Social Support In Situations Of Mass Emergency, European Policy Paper, Brussels, Belgium,

[31] Per il concetto di complessità, vedi Lanzara G.F. (1998), Capacità negativa, Il Mulino, Bologna; per quello di incertezza vedi Jaques E., (1971) “L’apprendimento dell’incertezza” in E.Jaques, Lavoro, creatività e giustizia sociale, Boringhieri, Torino 1978

[32] Psicologi per i Popoli-Torino (a cura di) (2010), Emozioni in Campo, pubblicazione a cura di Idea Solidale, Torino